
Età Contemporanea
XIX secolo
La lavorazione dei cappelli e della paglia di metà ‘800.
Tra le pagine più suggestive della storia dell’arte del cappello nella provincia di Fermo troviamo quelle presenti nel 5° volume della Enciclopedia Contemporanea, pubblicato nella prima metà del 1857.
In tale ricostruzione si narra che da lungo tempo è praticata a Montappone e nel territorio l’arte di intessere i cappelli di paglia.
Una datazione certa degli inizi delle attività non risulta nota neanche agli storici dell’Ottocento che ne parlano come una consuetudine sviluppata da tempo immemorabile.
La lavorazione della paglia, ha presto ricompreso i comuni di Massa Fermana, Monte Vidon Corrado, Falerone e Montegiorgio. Al di fuori di poche famiglie e dei bambini al di sotto dei cinque anni, tutti gli abitanti di Montappone si occupano della produzione dei cappelli: in misura appena minore questo avviene nei centri di Massa Fermana, Monte Vidon Corrado e Falerone.
I contadini di metà Ottocento considerano l’occupazione della paglia, più redditizia e meno faticosa della coltivazione dei campi: i proprietari terrieri, di conseguenza, si trovano spesso costretti a limitare la semina del grano coltivato appositamente per la produzione di cappelli.
Tra la popolazione, gli uomini si occupano di eseguire a mano le trecce; le donne fanno la treccia e cuciono anche i cappelli; i ragazzi intrecciano le paglie più grossolane. Ogni momento risulta propizio per lavorare la paglia, mentre si passeggia, mentre si parla, mentre si va verso la chiesa.
Sono diffuse in particolar modo le cosiddette veglie, che si fanno di volta in volta in case diverse e mentre si compongono i cappelli, si canta, si raccontano storie e ci si corteggia.
I cappelli si esportano in varie parti d’Italia, e specialmente nel Regno di Napoli; all’estero si raggiungono i territori di Trieste, della Grecia, delle Isole Jonie, dell’Algeria, dell’Egitto, e della Crimea.
Le fasi tipiche del modello protoindustriale prevedono la produzione diffusa sul territorio della treccia e dei semilavorati iniziali e l’accentramento nel borgo dell’assemblaggio e della finitura finali.
E’ da questo ambito che sono giunte fino a noi tracce del modello culturale ottocentesco, come quello raffigurato in un affresco di metà Ottocento, rinvenuto nel centro storico di Montappone e conservato nel locale Municipio, fig.4.

Fig. 4: trecciaioli che discendono le vie del paese, particolare di affresco su incannucciato (metà 1800).
Già a metà del XIX secolo, risultano introdotte importanti innovazioni di processo e di prodotto, come l’utilizzo della gualitrice per la calibratura dei fili di paglia e delle presse per dare forma ai cappelli.
Riconoscimenti internazionali e le prime fabbriche.
Dati di poco antecedenti l’unità d’Italia, ci confermano la struttura produttiva del quadrilatero della paglia con un totale di pezzi prodotti pari a 655.000 unità, figura 5.

Fig. 5: Prospetto medio statistico del numero dei lavoratori del cappello e della quantità di cappelli di paglia prodotti nei sopraindicati comuni della Provincia di Fermo.
Col trascorrere degli anni, il pregio e le peculiarità dei manufatti vanno espandendo il proprio raggio di azione fino a importantissimi riconoscimenti nazionali e internazionali.
Nel 1861 Montappone ottiene la medaglia di bronzo alla Esposizione Nazionale di Firenze per la cura e la qualità della lavorazione dei cappelli, mentre lo stesso Comune si aggiudica la medaglia di argento all’Esposizione Universale di Parigi del 1867.
Nella promozione dei prodotti un ruolo di primo piano viene svolto dalle amministrazioni pubbliche comunali che si caricano, in ogni occasione, di tutti gli oneri organizzativi.
Altra manifestazione da segnalare è l’Esposizione provinciale agricola industriale ed artistica di Fermo del 1869, con espositori di Falerone, Massa Fermana, Monte Vidon Corrado e Montappone, in cui vengono presentate importanti novità come i cappelli di paglia colorati e i cappelli di panama. In particolare questi ultimi, essendo una manifattura estremamente pregiata e dagli alti costi di lavorazione, vengono importati già cuciti eseguendo alla fine solo operazioni di rifinitura e confezionamento.
A fine Ottocento l’esportazione di cappelli raggiunge oramai varie parti del mondo comprese le Americhe.
Parallelamente si assiste ad una nuova meccanizzazione nella produzione dei cappelli attraverso l’introduzione della macchina cucitrice: questo comporta un accentramento delle attività nei laboratori, anche se il lavoro domiciliare resta sempre un prerogativa della occupazione nel distretto. La prima fabbrica di concezione moderna nasce a Monte Vidon Corrado nel 1863, aprendo la strada a decine di altre imprese che prosperano fino al primo dopoguerra. Nel censimento del 1881, tra Massa Fermana, Montappone, Monte Vidon Corrado e Falerone, si hanno complessivamente 9355 abitanti, dei quali 2053 sono artigiani o piccoli imprenditori nella produzione del cappello e 1951 risultano salariati a tempo pieno.
La stessa inchiesta Jacini del 1884, relativamente ai paesi del cappello del fermano, parla della presenza di un benessere sconosciuto alle altre popolazioni agricole del territorio.
Nell’espansione commerciale del cappello di paglia, le fiere e i mercati cittadini sono stati tra i principali elementi catalizzatori dell’incontro tra domanda e offerta.
Per tutto il XIX secolo, come osserva lo storico Carlo Verducci, il commercio ambulante dei cappelli di paglia è una caratteristica qualificante del distretto, che accompagna continuamente le attività più propriamente manifatturiere. Una particolare figura, nota come il cappellaio di Montappone, si afferma nella vendita ambulante dei cappelli: una pertica lunga 3-4 metri sostenuta da un bastone, costituisce la singolare bancarella di questo mercante.
Sulla cultura e sulle capacità commerciali e artigianali del territorio, si innesta per lungo tempo, e sino ai primi anni del secondo dopoguerra, l’azione del centro manifatturiero di Firenze, attraverso commissioni e richieste. Non di rado i cronisti dell’Ottocento notano che gli stessi Fiorentini si recano a Montappone per acquistare cappelli, che poi, dopo averli adornati in maniera adeguata, rivendono come fossero toscani. L’influenza esterna è tutt’altro che negativa per le sorti del distretto, in quanto costituisce l’elemento suppletivo, che dopo un lungo adattamento, fa venire alla luce le capacità produttive della comunità territoriale verso una sempre maggiore apertura mercantile.
XX secolo
La manifattura nel maceratese.
In epoca contemporanea, le terre del cappello sembrano estendersi anche ai limitrofi Comuni di Mogliano, Loro Piceno e Sant’Angelo in Pontano. Pur facendo parte dello “Stato di Fermo” fino al XIX sec., questi Comuni ricadono attualmente nella Provincia di Macerata.
La stessa Diocesi di Fermo, le cui origini risalgono al III sec. d.C, ricomprende tutti i territori del cappello, sia sul versante fermano, che su quello maceratese.
Dalle notizie in nostro possesso, nei Comuni di Mogliano, Loro Piceno e Sant’Angelo in Pontano, la produzione manifatturiera sembra affermarsi per contaminazione economico-culturale trasmessa dai centri storici del cappello.
In particolare a Mogliano la produzione di accessori della moda si sviluppa come evoluzione e differenziazione dell’arte dell’intreccio dei vimini che fiorisce nella cultura contadina a partire dal XIX sec.
Tra la gente di Mogliano di inizio XX sec. si è soliti ripetere di “andare a fare la treccia a Massa [Fermana]” in segno di differenziazione da quell’arte e come esortazione a darsi da fare nel proprio lavoro o cercarsi una occupazione alternativa.
La produzione tra I e II guerra mondiale.
Nel censimento del 1911 vengono rilevate 24 fabbriche di cappelli di paglia, attribuite in modo approssimativo tutte a Montappone; da altre fonti del 1913, viene annotato in maniera più appropriata che nel fermano vi sono tredici fabbriche di cappelli degne di questo nome: tre a Massa Fermana, quattro a Montappone, due a Monte Vidon Corrado e quattro a Falerone.
Con l’arrivo degli anni Venti assistiamo alle prime importazioni di trecce di paglia dalla Cina e dal Giappone, che aprono la strada alla produzione cinese di cappelli semilavorati in tessuto, elemento strategico di molte aziende degli anni Ottanta e Novanta.
Come sostiene Ezio Sebastani nel 1925, la lavorazione della treccia e dei cappelli di paglia, in seguito all’introduzione dei macchinari, raggiunge vette di eccellenza; la qualità della produzione, al tempo stesso, risulta notevolmente migliorata.
I Comuni di Massa Fermana, di Montappone, di Monte Vidon Corrado e di Falerone, in quegli anni, pur di fronte ad una crisi incombente, lanciano sui mercati di consumo (comprese le Americhe e l’Asia Minore) circa un milione e mezzo di cappelli.
Tra i paesi del comprensorio risultano particolarmente dinamiche le attività di Massa Fermana dove, ben quattro imprenditori della città, già agli inizi del Novecento, impiantano fabbriche di cappelli all’estero.
Nel periodo tra le due guerre gli echi della crisi arrivano a toccare anche il distretto fermano del cappello, ma l’influsso non si dimostra completamente distruttivo: caratteristiche organizzative flessibili, come contoterzismo, diffuso lavoro a domicilio, presenza di piccolissimi produttori e artigiani, riescono a salvare il comprensorio dall’estinzione.
Nello stato di emergenza degli anni Venti risulta essere Falerone il comune che più di altri mostra di possedere risorse imprenditoriali adeguate. In particolare, a partire dal 1908 e fino al 1956, Falerone, è l’unico tra i centri manifatturieri del cappello a poter usufruire di una stazione ferroviaria lungo la linea Amandola-Porto San Giorgio per il collegamento alla direttrice adriatica.
Nel 1930 vengono introdotti i primi motori elettrici, il lavoro diventa meno faticoso e le giornate lavorative vengono ridotte ad otto ore.
Fino alla II guerra mondiale le fasi di lavorazione rimangono immutate, ma assistiamo ad una progressiva evoluzione del mercato verso una sempre maggiore extra-regionalizzazione.
Nuovi rapporti si instaurano tra pubbliche amministrazioni e impresa: la PA perde progressivamente il ruolo di sostenitrice dello sviluppo manifatturiero, per assumere più una funzione di controllo.
Nel settore dell’arte, gli influssi del distretto vengono condotti a livello internazionale dal maestro montevidonese Osvaldo Licini. Del periodo figurativo dell’artista ricordiamo le due opere Natura morta (Cappellini) e il Pastorello, dove un cappello di paglia a falda larga incornicia il volto di un ragazzo.
Nuovo assetto industriale e conservazione delle tradizioni.
Il secondo dopoguerra vede la graduale e definitiva scomparsa della secolare tradizione dell’intrecciare la paglia, mentre non subisce variazioni la consuetudine di svolgere alcuni lavori a domicilio, residuo profondo di un modello produttivo affermatosi nei secoli precedenti. Primo segnale del passaggio da un’economia rurale fondata sulla mezzadria ad una struttura industriale sorta intorno alle abilità originarie, risulta essere la costituzione a Piane di Falerone, nel 1950, del primo consorzio tra commercianti di trecce di paglia; scopo del consorzio è quello di armonizzare e sostenere i prezzi. Nel frattempo si delineano le prime avvisaglie di protesta degli operai delle fabbriche per il miglioramento della loro condizione. Agli inizi del 1954 assistiamo ad una astensione collettiva dal lavoro di circa tre mesi. Nello stesso anno alcuni operai cercano di organizzarsi in cooperativa, ma l’estensione a tutto il settore del contratto nazionale di lavoro dei tessili, rende l’iniziativa ben presto inefficace.
Una forte crisi di comparto pervade le aziende del comprensorio durante gli anni Cinquanta e Sessanta: i cambiamenti della moda limitano sempre di più l’uso del cappello di paglia e i compratori fiorentini e di Marostica preferiscono le trecce cinesi rispetto a quelle italiane.
Le aziende emerse dalle ceneri della guerra costituiscono una importante fucina di nuovi imprenditori: a partire dagli anni Sessanta molti operai fuoriescono dalla azienda madre, per dar vita, prima a dei laboratori conto terzi, poi a delle unità produttive indipendenti. Si hanno nel tempo veri e propri spin-off che consolidano la vocazione manifatturiera del comprensorio.
La struttura produttiva assume sempre di più la connotazione di distretto in seguito a quell’aria del saper fare diffusa su tutto il territorio, con la presenza di molte piccole imprese specializzate in una singola fase del ciclo di fabbricazione.
La produzione si va progressivamente differenziando: partendo dai cappelli in truciolo, rafia e maglina (importata dalla Cina), si arriva nel 1965 ai cappelli di merletto e a quelli di nailon.
Entra nelle fabbriche una nuova macchina, conosciuta col nome di Anita che viene utilizzata per cucire trecce di truciolo e di merletto.
Col trascorrere degli anni, altre materie prime, come la lana, il feltro e vari tipi di tessuto vanno a sostituire la paglia intrecciata, divenuta oramai un prodotto di nicchia.
Nel decennio 1966-1975 a fronte di 18 nuove imprese che producono cappelli di vario materiale e altri articoli di abbigliamento, ne risultano appena 7 che iniziano l’attività sui cappelli di paglia e truciolo.
Già da tempo, partendo dalla prima metà del secolo, si evidenziano iniziative di conservazione delle tradizioni storico-culturali legate al mondo dei cappelli di paglia, come testimoniano alcune opere in dialetto del poeta Manlio Massini, nato a Massa Fermana nel 1889. Tra i vari componimenti ricordiamo Maestro di treccia, ‘Ntreccènne e La storia de lu filu de paja (La storia del filo di paglia). In particolare di quest’ultima, attraverso una riduzione del testo poetico, se ne propone una versione contratta, seguita dalla traduzione in italiano1.
Recordi a fine jugnu ? ‘Rroventatu
come scottaa lu sòle ‘nvipiritu !
Tu stavi da lu scròzzu reguardatu,
tuttu, da capu a pé, quasci rvistitu.
[…]
‘Llu dí, però, ‘che cosa de spiciale
c’era d’entunno a te: parole, canti,
u’ rluccecà ce stava, tale e quale
fa’ li specchi a lu sòle o li vrillanti.
[…]
Mo’ sci’ ‘gghiustatu a mazzi che se lega,
se ‘nzurva, po’ se vagna e po’ se ‘ntreccia.
Come sci’ mardrattatu ! Chi lo nega:
se ‘o’ fa con te la pezza de la treccia.
[…]
Se spurga e po’ se passa su lu trocchiu
ancora lu triccì pulitu e bellu;
mo’ ce vo’ l’arte, pràtaca coll’occhiu:
le macchenette cuce lu cappellu.
Vattutu su la prèscia e po’ guarnitu
de nastru o pitturatu,
addé che lu martiriu t’è finitu:
te ‘spetta lu mercatu.
TRADUZIONE
Ricordi a fine giugno ? Arroventato
come scotta il sole inviperito !
Tu stavi da la scorza riguardato,
tutto, da capo a piedi, quasi rivestito.
[…]
Quel giorno, però, qualcosa di speciale
c’era d’intorno a te: parole, canti,
un riluccicare ci stava, tale e quale
fanno gli specchi al sole o i brillanti.
[…]
Ora sei aggiustato a mazzi da legare,
si inzolfa, poi si bagna e poi si intreccia.
Come sei maltrattato ! Chi lo può negare:
si vuol fare con te la pezza della treccia.
[…]
Si spurga e poi si passa sul torchio
ancora il treccino (treccia) pulito e bello;
ora ci vuole l’arte, pratica con l’occhio:
le macchinette cuciono il cappello.
Battuto sulla pressa e poi guarnito
di nastro o pitturato,
ora che il martirio t’ è finito:
ti aspetta il mercato.
Il componimento, nella sua versione integrale, riassume, attraverso fulgide allegorie, tutte le fasi di trasformazione dei fili di paglia che conducono al prodotto finito. Il processo di conservazione e riscoperta della cultura passata, prosegue per tutto il secolo scorso con alcune tesi universitarie condotte a partire dagli anni Sessanta; seguita per tutti i decenni successivi passando attraverso l’istituzione nel 1988 del museo del cappello da parte del Comune di Montappone, cui fa seguito l’allestimento del museo del cappello di paglia da parte del Comune di Massa Fermana nel 2007.
I decisi influssi di tutta la cultura locale si ritrovano nella poliedrica opera del faleronese Massimo Mezzanotte (Falerone 1943 – Sant’Elpidio a Mare 2009). Autore di teatro, poeta e pittore, di lui ricordiamo molte delle veglie scritte per la Contesa de la ‘Nzegna, nelle quali l’arte della paglia fornisce una naturale ambientazione. Molto significativa anche la sua produzione pittorica con la serie di ritratti con cappello o di donne intente nelle attività della treccia, fig. 7.

fig. 7: – Donna che intreccia – Massimo Mezzanotte. Falerone (FM), collezione privata.
Affermazione di un distretto produttivo.
Nel frattempo sul fronte commerciale cominciano progressivamente a sorgere nuove iniziative. Nel 1976 viene costituita la cooperativa C.I.L.P.A. Marche (Consorzio Imprenditori Lavorazione Paglia e Affini) a cui, per alcuni anni, vengono assegnate tre funzioni principali:
– provvedere al rifornimento delle materie prime per le imprese dei soci;
– organizzare presentazioni comuni dei prodotti;
– favorire le vendite.
Congiuntamente le imprese del distretto diventano un laboratorio delle nuove politiche di delocalizzazione e internazionalizzazione. Non essendo più conveniente produrre cappelli di paglia in Italia, già negli anni Settanta, imprenditori e commercianti locali instaurano relazioni con la Cina per rendere vantaggioso a livello internazionale l’acquisto di cappelli cinesi in Italia.
Inizia a diffondersi una cultura di promozione industriale ai più alti livelli: vengono avviati accordi con multinazionali estere per lo sfruttamento di marchi famosi e incominciano a presentarsi accordi con affermate case di moda per la produzione di articoli di alta qualità.
Si rafforza parallelamente la veicolazione del messaggio identificativo del distretto nel mondo: a partire dal 1994 viene creato Cappeldoc, un consorzio di imprese avente lo scopo di promuovere la commercializzazione di prodotti insieme alla organizzazione di politiche comuni tra consorziati.
Dal 1980 viene proposta in chiave moderna la Contesa de la ‘Nzegna di Falerone, dove la lavorazione della paglia di grano risulta centrale in molti momenti della competizione.
Nel 2002 inizia a svolgersi con cadenza annuale la festa de Il cappello di paglia di Montappone e, a partire dal 2006 fino al 2013, il Comune di Massa Fermana organizza una manifestazione di Arte – Memoria – Happening incentrata sul cappello. Vengono create progressivamente esposizioni di copricapi fantastici, pezzi unici frutto del lavoro di artisti e maestri cappellai.
XXI secolo
A tutela della produzione locale, la Regione Marche prevede, per le aziende del settore, l’utilizzo del contrassegno collettivo 1m Marche Eccellenza Artigiana che attesta una manifattura con caratteristiche superiori agli standard vigenti. Dal 2009 un disciplinare di produzione del cappello salvaguardia i consumatori definendo regole, caratteristiche e requisiti del prodotto.
Negli anni più recenti, a fronte dell’aumento dei salari anche in Cina, assistiamo ad un riequilibrio della delocalizzazione produttiva. Tutto il segmento di alta gamma, fino ad arrivare a quello del lusso, rimane collegato al distretto del fermano, mentre le produzioni destinate alla fascia medio-bassa del mercato sono prerogativa dell’Estremo Oriente.
Nel campo dell’arte, gli echi del distretto si pongono di nuovo all’attenzione della critica attraverso le opere del maestro montapponese Fortunato Frontoni (Montappone 1951): di lui citiamo le due tele Il paese del cappello, fig. 8, e Cappelli e mondine.

Fig. 8: Il paese del cappello, 2008 – Fortunato Frontoni.
Montappone (FM), collezione privata.
Significativi sono anche i contatti tra il distretto e artisti esterni come l’urbinate Carlo Iacomucci (Urbino 1949). Di lui ricordiamo le tre opere Il castello Brunforte, Visione magica e Qual piuma al vento dedicate in particolare al Comune di Massa Fermana e al mondo dei copricapo.
Nel 2014, cercando di ampliare l’offerta del settore, nasce l’Accademia medica “Cappello e salute”: il copricapo non viene più visto esclusivamente come accessorio dell’abbigliamento, ma anche come strumento per prevenire disturbi e migliorare la salute.
Sempre nello stesso anno trova avvio il progetto relativo alla “Fabbrica pilota del cappello” per favorire il ricambio generazionale nelle aziende e istituzionalizzare la trasmissione delle conoscenze artigiane.
Il cappello, complemento della propria immagine, sembra tornare nuovamente in auge, particolarmente riconsiderato da stilisti e case di moda.